L’emergenza sanitaria che abbiamo vissuto ha costretto la maggior parte di noi a modifiche le proprie pratiche lavorative. Molte aziende si si sono trovate, quasi improvvisamente, a gestire l’emergenza organizzativa, approdando, in tempi rapidi, al lavoro agile o smart working.
Gli effetti dello smart working
In un recente report sul lavoro agile nelle Pubbliche Amministrazioni durante il periodo covid19, è stato rilevato come lo smart working tenda a diminuire lo spazio sia fisico sia psicologico tra vita privata e vita lavorativa, in quanto rende il lavoratore iperconnesso. Questo può avere effetti positivi, in termini di mobilità, produttività e multitasking, ma anche negatività legate all’aumento dello stress lavoro-correlato, ma soprattutto di sindromi non facilmente rilevabili, come quella da workaholism. Si tratta, infatti, di una sindrome non sempre facile da individuare che si mimetizza con facilità, in quanto per l’azienda il lavoratore workaholic può essere una risorsa umana molto produttiva, mentre da parte del lavoratore si instaura una vera e propria dipendenza, entrambi gli attori in gioco avranno quindi difficoltà a riconoscimento determinati comportamenti come un problema concreto.
Definizione della workaholism
Il termine workaholic detta anche work addiction (letteralmente dipendenza da lavoro) è stato coniato da Oates nel 1971, come contrazione delle parole ‘work’, ovvero ‘lavoro’ e ‘a(lco)holic’, cioè ‘alcolizzato’. Si riferisce a persone la cui necessità di lavoro è diventata così forte che può costituire un pericolo per la loro salute, per il benessere personale, per le relazioni interpersonali e per il funzionamento sociale. La workaholism indica quindi il bisogno incontrollabile di lavorare incessantemente e rientra nel novero delle nuove dipendenze, assieme alla Internet Addiction, Shopping Compulsivo. Essa, tuttavia, si differenzia dalle classiche dipendenze comportamentali, poiché non si riferisce, come per l’uso di sostanze, al ricorso ad un agente esterno per l’ottenimento diretto di un appagamento istantaneo, bensì ad un’attività che richiede uno sforzo finalizzato alla produzione di un lavoro o di un sevizio, per il quale si prevede una remunerazione.
L’attività lavorativa, pertanto, diventerebbe una sorta di scappatoia impiegata dal soggetto per evitare emozioni negative, relazioni o responsabilità. Nonostante si tratti di un tema dibattuto da diversi anni, la workaholism, per la sua stessa correlazione con un’attività quotidiana, quella lavorativa, indispensabile e di interesse comune, difficilmente viene riconosciuta dalla società occidentale come un disagio patologico.
Sintomi della workaholism
Nel 1997 alcuni studiosi hanno proposto una caratterizzazione di workaholism attualmente valida e condivisa, concettualizzato l’esistenza di tre caratteristiche principali della persona dipendente da lavoro:
- Spendere la maggior parte del proprio tempo in attività correlate al lavoro, generando un malfunzionamento sociale, nelle relazioni interpersonali e familiari e sullo stato di salute;
- Pensare e focalizzarsi sul lavoro per trovare soluzioni, anche quando non si sta lavorando;
- Lavorare al di là delle richieste o necessità finanziarie e organizzative.
Queste caratteristiche porteranno alla messa in atto di alcuni comportamenti problematici come una riduzione del sonno, consumo eccessivo di caffeina e sbalzi di umore.
Si possono inoltre identificare diversi stili comportamentali della persona dipendente dal lavoro:
- compulsivo-dipendente: correlato ad ansia, stress, problemi fisici e psicologici, e negativamente a performance lavorative e a livelli di soddisfazione lavorativa e/o personale;
- perfezionista: correlato positivamente ad alti livelli di stress, problemi fisici e psicologici, relazioni interpersonali ostili, bassa soddisfazione lavorativa, scarsa performance e assenteismo dal lavoro;
- orientato al successo: positivamente correlato a buona salute fisica e psicologica, soddisfazione lavorativa e personale e comportamenti socialmente desiderabili.
Origine della workaholism
Come per le altre dipendenze, anche la workaholism ha un’origine multifattoriale, pertanto, sembrerebbe derivare dalla storia di apprendimento familiare, in cui i figli tenderanno ad assumere gli alti standard dei genitori, eccellendo nelle attività scolastiche ed extrascolastiche. Tali ritmi, vissuti come naturali, avrebbero come scopo quello di ricevere attenzioni e riconoscimento da parte degli stessi genitori e, talvolta, legittimando un minor investimento nelle relazioni interpersonali ed un atteggiamento di chiusura emotiva.
Si somma all’influenza dell’ambiente familiare, l’innovazione tecnologica che, con l’avvento di internet, smartphones e tablet e indebolendo i confini naturali tra ambito professionale e privato, avrebbe permesso al lavoro di invadere quegli spazi umani precedentemente non intaccati dalla sfera professione. Banalmente, il fatto di essere sempre reperibili tramite cellulare, da un lato rassicura, dall’altro sembrerebbe operare una sorta di invasione e controllo sulle vite private dei lavoratori.
Atro aspetto rilevante è la presenza di tratti di personalità che predisporrebbero allo sviluppo di questa problematica quali: la motivazione al successo, il perfezionismo, la coscienziosità e l’auto-efficacia. In particolare sembrerebbe che gli individui che riferiscono livelli più elevati di auto-efficacia nelle attività lavorative rispetto ad attività non lavorative abbiano maggiori probabilità di diventare maniaci del lavoro.
Infine non è da sottovalutare il ruolo svolto dagli ambienti organizzativi che tenderebbero a rinforzare alcuni tratti di personalità. In particolare la workaholism può svilupparsi quando i dipendenti percepiscono che il lavorare oltre l’orario di lavoro anche a casa, nei fine settimana o durante le vacanze, sia considerata una condizione indispensabile per il successo e l’avanzamento di carriera.
In conclusione.
Il lavoro agile e intelligente risulta un’ottima strategia per fronteggiare una crisi di qualsiasi natura (dalla pandemia alla crisi economica) agevolando l’azienda, ma anche il lavoratore. Non bisogna, però, dimenticare di ricostruire, anche nel contesto virtuale, momenti di socializzazione, ma soprattutto di supporto e attenzione alle ‘vulnerabilità’ lavorative.
Potrebbe essere utile se l’organizzazione fornisse dei feedback positivi ai suoi dipendenti, non tanto rispetto al tempo speso per quel lavoro ma, su strategie di gestione del tempo che rendano il lavoro più produttivo. Sarebbe inoltre auspicabile la creazione di un clima organizzativo nel quale i dipendenti possano lavorare serenamente raggiungendo gli obiettivi previsti, ma anche godere delle attività extra lavorative.
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